Ero ancora in uniforme quando un ufficiale che aveva imparato a conoscermi sin dalla Scuola Sottufficiali mi disse che ero “un ottimo paracadutista ma un pessimo militare”. Evidenziando quell’aspetto del mio carattere poco incline alla cieca obbedienza, alla de-responsabilizzante sudditanza o alla adesione alle ideologie senza un riflessivo pensiero critico.
Sostanzialmente non sono mai riuscito a dimostrare, anche volendolo fare, la sudditanza a qualcuno di “superiore” se non nel manifestare il rispetto per il ruolo ricoperto e la funzione svolta ma, sempre, con quella “ghignarola” che sin da bambino mi ha reso una sorta di incompreso. Non per niente degli amici mi dettero il soprannome di Lupodelupiis per questo.
Il primo magistrato con il quale ho avuto a che fare è stato il giudice istruttore che nel 1988 chiese la cattura di un infradiciannovenne incensurato, militare sin dai 16 anni anagrafici con note caratteristiche eccellenti ed encomi, volontario del soccorso e già lottatore sportivo sin da piccolo. Un magistrato con un ghigno che nulla aveva a che fare con la “ghignarola livornese”. Ghigno che evidenziava in lui quelle ombre poi illuminate nel momento della, sua, cattura avvenuta anni dopo con la definitiva sentenza successiva per essere marcio.
Non ho però mai perso fiducia nella magistratura, nei carabinieri, nella polizia; istituzioni con le quali ho collaborato come consulente ausiliario di polizia giudiziaria, come consulente tecnico di parte e come cittadino in cerca di Giustizia ma, sempre, con il rispetto della mia storia, della mia intelligenza e dell’esperienza anche vissuta nei meccanismi di quelle istituzioni che ben conosco oltre l’immagine delle corrette procedure.
Ho vissuto in modo traumatico per tanti anni la dicotomia tra il Fabio Piselli con l’esperienza della cattura ed il Fabio Piselli che, dopo la feroce prigionia, coadiuva procure e polizie giudiziarie nel piazzare ambientali ed intercettare gli indagati, ovvero partecipa alla ricerca della prova all’interno di una indagine di polizia giudiziaria su base fiduciaria ma, ogni volta che mi sono trovato di fronte ad una testimonianza o alla ricerca di verità, mi hanno sbattuto in faccia le notizie di polizia del 1986 che falsamente causarono la cattura in custodia cautelare nel 1988 ed ho dovuto, sempre, faticare molto.
Generalmente un ex prigioniero non lo trovi dentro le salette intercettazioni delle procure, delle caserme e delle questure, oppure nelle case e nei mezzi degli indagati a piazzare ambientali; per cui si presume che vi sia il riconoscimento dei requisiti di onestà, affidabilità e correttezza nel decretarlo come ausiliario di PG gomito a gomito con gli effettivi operatori in quel momento e, soprattutto, vincolato al segreto investigativo ed alla tutela delle notizie riguardanti le intercettazioni in corso.
Oppure dobbiamo desumere che, nel nostro strano Paese, chiunque entra per anni nelle stanze ad accesso filtrato per il solo essere avallato da qualche funzionario di fiducia e, se così fosse, dovremmo seriamente preoccuparci. Fortunatamente ho lavorato con molte procure diverse, con molte aliquote di PG diverse e con molti funzionari diversi per dire che ero il pupillo di uno solo.
La situazione più paradossale che ho vissuto è stata quella di trovarmi in un ufficio di PG ove stavo allestendo i sistemi per le intercettazioni insieme a degli operatori delegati dalla procura procedente mentre, nella esatta stanza accanto, un operatore stava scrivendo un rapporto su di me per inoltrarlo a livello superiore nel corso di una indagine che mi vedeva testimone, dicendo che “millantavo di fare le intercettazioni con la polizia giudiziaria” ed ero perciò secondo questi, perchè così era stato informato da altri, una sorta di “mitomane millantatore” quando qualche giorno dopo, per caso, ci siamo trovati nella saletta intercettazioni insieme e la sua espressione manifestò quello stupore che recita “ma, allora, è vero“.
Ci confrontammo a lungo giungendo all’equilibrato riconoscimento della realtà e, a dirla tutta, fui felice di osservare la sua capacità di porre in discussione un castello di fregnacce con il bollo tondo di qualche ufficio degno di credibilità.
Egli fu uno di quelli che, tra le varie telefonate, suggeriva ai colleghi di conoscermi di persona e di parlare con me prima di prendere per vero un rapporto negativo o semplicemente dare per scontato il contenuto delle telefonate ricevute da qualche livello superiore.
Ecco, quanto sopra dimostra gli ostacoli che affronto da tanti anni, per i quali sono sostanzialmente costretto a portare io stesso le prove di una denuncia o di una testimonianza, oppure, “fare lo spavaldo” dicendo a chi indaga come giungere alla raccolta delle prove stesse nei casi che mi riguardano e, questo, mi rende chiaramente poco simpatico anche se lo dico con estrema umiltà.
Sono un “testimone meno orotodosso” forse anche un pò volontariamente discolo, non per mancanza di rispetto verso chi indaga, ho in realtà molto rispetto e gratitudine in ogni caso, ma perchè conosco le dinamiche interne a quegli ambienti tali da tastare il polso, gestire in modo birichino le notizie, “purgare” qualcuno fino al depistaggio vero e proprio quando le indagini in cui a vario titolo sono coinvolto riguardano dei “fatti di Stato”.
Ho scelto quindi di veicolare le informazioni con il metodo del vero del falso e del verosimile, tale da consentire agli inquirenti di giungere ad un obiettivo concreto di conoscenza o di identificazione ma, allo stesso tempo, avere delle riserve per utilizzarmi all’interno di un dibattimento processuale.
Un metodo che ha i suoi ampi rischi che corro sulla mia pelle e, non, sulla bontà dell’indagine o sulla carriera degli inquirenti stessi, alcuni dei quali hanno imparato a mostrarmi il loro rispetto durante un informale caffè ed avere lo sguardo neutro in ufficio.
Non ho mai cercato altro che l’opportunità di dimostrare la mia innocenza per i fatti del 1986, ove per farlo ho dovuto combattere il mio stesso ambiente di lavoro dell’epoca, quello militare esteso a chi, tra i colleghi, era transitato ai Servizi. Una lotta annosa in realtà non ancora conclusa perchè, come ho scritto in altri articoli, il cercare luce sui miei fatti ha illuminato eventi che dovevano restare in ombra.
Chiedo scusa comunque a quei magistrati e funzionari che mi hanno donato fiducia, ai quali ho sempre corrisposto il corretto ausilio pur restando distante dalle dinamiche delle mani troppo unite, proprio per non rischiare quei vincoli a cui non sono mai stato abituato in questi ultimi 40 anni.
Un testimone, anche in fatti complessi che coinvolgono degli apparati dello Stato, non deve piacere, essere simpatico o proteso al più favorevole indirizzo investigativo ma semplicemente assumersi le piene responsabilità agli effetti di legge su ciò che dischiara.
Questo ho sempre fatto in 40 anni. Mi sono assunto le piene responsabilità penali e civili per ogni mia dichiarazione, che ho siglato negli uffici istituzionali e, non, al bar dello sport.
In 40 anni non ho mai subito nessuna condanna per i tipici reati del mendacio testimoniale, nonostante il fango che ancora oggi patisco.
In buona sostanza, chi mi interroga non mi gestisce, al contrario è pienamente consapevole che, per esempio, nei casi che mi riguardano e solo per quelli perchè non faccio il testimone di professione, gli dirò che “mi hanno rubato l’astronave che potrà essere rinvenuta in quel garage” ove, una volta giunti al garage, non troveranno l’astronave ma dei mezzi carichi di armi, prendendosi tutto il merito del casuale ritrovamento mentre “perdevano tempo dietro al Piselli”.
Il mio obiettivo è il casuale ritrovamento, non il merito…
Buon lavoro a tutti…