Nella mia storia testimoniale si evidenzia quello strano fenomeno del fango iniziale che si scioglie dopo molti anni, quando ormai il vero, il falso ed il verosimile si sono confusi proprio con il passare del tempo e, questa, è una tecnica ben rodata da parte di chi la verità desidera spingerla sempre più in là.
Motivo per cui ho spesso giocato alla gestione del vero, del falso e del verosimile proprio per combattere questo metodo che definire depistaggio è troppo, ma impedisce di fatto di indirizzare immediatamente le indagini verso qualcosa che invece viene reso fangoso dal falsato informativo sul mio conto e dico questo senza nessuna forma di vittimismo, sindrome persecutoria o vittimizzazione di sorta ma basandomi sui dati di fatto incontrovertibili evinti dalle numerose carte giudiziarie in 40 anni di storia in tal senso.
Un evento esemplare riguarda i primi anni ’90 quando sono stato sentito all’interno della prima inchiesta su Gladio, poi scriverò in futuro le ragioni per le quali questo avvenne, momento in cui parlai del recupero di esplosivi dal mare e del loro trasporto via terra ma giunse immediatamente una informativa di un carabiniere che mi definiva uno “psicolabile” e ricevetti uno dei tanti iniziali sbeffeggi che, anni dopo, si dimostrarono ingiusti, anche se chiesi da quali documenti psicodiagnostici questi mi “certificava” in quel modo atteso che non esisteva nessuna perizia o valutazione reale ma, la riposta, fu più o meno simile al qualunquismo di parruccheria espressa nel “per me così e, poi, me lo hanno detto altri colleghi”.
Qualche tempo dopo un pentito di mafia nelle sue dichiarazioni da collaborante descrisse sommariamente lo stesso metodo di recupero di eplosivi dal mare, più o meno nella stessa zona, dicendo però che li recuperavano dalle vecchie navi della seconda guerra mondiale estraendo il materiale esplodente per poi rilavorarlo per essere impiegato negli attentati e nelle stragi e, questo, è vero anche se con dei rischi e con la necessaria competenza pur senza la professionalità di un artificiere; bastava una mera formazione e della buona pratica nella gestione “facile” del tritolo prevalentemente.
Ciò che il pentito non disse, o forse non sapeva, riguardava il deposito in mare di esplosivo non proveniente dalla guerra mondiale, ovvero più giovane e già pronto per la miscela o la composizione, da recuperare tramite immersioni ma non dal fondale bensì da un quota ed un punto nave precisi da individuare con le giuste coordinate, utilizzando un pescareccio o una imbarcazione oltre le 12 miglia.
Il recupero degli esplosivi dal mare si differenziava perciò tra quello dei mafiosi, che lo andavano a prendere dalla vecchie navi affondate e quello di altre entità che invece lo depositavano in mare per, poi, recuperarlo dal mare; ma non era esplosivo giacente nell’acqua da anni, bensì già pronto per essere miscelato oppure composto con altri esplodenti o rinforzanti in base al preciso utilizzo contro un obiettivo.
Occorre ricordare che un antico metodo negli anni ’70-’80 era quello, per chi aveva accesso alle polveriere militari o esercitazioni con l’esplosivo, di “asportare” delle piccole quantità non percettibili a degli eventuali controlli e considerate già usate o brillate nel corso delle esercitazioni, oppure ininfuenti in termini di quantità rispetto all’elevato volume del deposito, ovvero difficili da evidenziare come mancanti proprio per la ridotta misura dell’asportazione che, grattagratta nel tempo, consentiva di accumulare del materiale importante.
In tempi più recenti, anche se si parla di anni indietro ormai, sono stato interrogato da delle autorità antimafia ed antiterrorismo anche sul tema del recupero degli esplosivi dal mare, con tutti i dettagli e le “controprove” relativamente al materiale usato per l’immersione, dal “doppio stadio” a tutto il resto ed in questa occasione ne sono uscito attendibile ma, come altre volte ho detto, la lotteria della credibilità quando si parla di “misteri di Stato” dipende più dal tenore delle informative e delle tastatine di polso interne che dalla qualità del dichiarante di turno.
La mia gestione del vero, del falso e del verosimile nelle dichiarazioni testimoniali è ormai nota nel circuito giudiziario ed investigativo antimafia, non senza qualche incazzatura da parte di chi mi vorrebbe meno “discolo” e con tutti i rischi conseguenti a questa chiara forma di impistaggio che, certamente, è utile per le indagini ma poco spendibile in un dibattimento e a dire il vero è una delle ragioni del mio essere discolo ma distante e indipendente dal mercatino dei testimoni. Sono anche noto per non aver mai chiesto ne accettato nulla, non dai buoni e non dai cattivi.
Concludo questo articolo dicendo che a mio parere, la verità sul presunto supporto esterno alle stragi di mafia, la si potrà comprendere nel momento in cui si porrà in discussione il sistema indagini, il sistema inquinamento delle notizie, il sistema del depistaggio interno, il sistema del mercatino delle carriere e, soprattutto, il valore politico del commercio dei segreti.
Tutto questo richiederebbe una profonda analisi di operatori, documenti, informative, appunti per il capodivisione, op85 fasulli, pentiti gestiti in conto terzi, bravissimi ufficiali di PG trasformati in millantatori non appena toccano alcuni fili scoperti, testimoni maltrattati, testimoni esauriti, testimoni in cerca di vantaggi ma ciò che sarebbe realmente necessario riguarda la volontà politica di andare a fondo, direi quasi immergersi, in quel mare in tempesta degli anni bui tra il 1985 ed il 1995.
Io rimango il cretinotto qualsiasi di sempre, indipendente a caro prezzo, itinerante insieme alla mia numerosa Famiglia mentre riprendo a scrivere il Blog per offrire un confronto senza la presunzione di avere delle verità in tasca, solo l’esperienza di 40 anni e tanti pezzettini confusi tra il vero, il falso ed il verosimile da rimettere insieme…
F.