Dopo quanto accaduto nei giorni scorsi e soprattutto dopo aver ritrovato nel nostro camper un basco dei paracadutisti con dentro delle ossa umane ove appare, secondo una sorta di esoterismo militare, una presunta condanna a morte dei traditori, scelgo di lasciare quanto segue come “testamento mnemonico” laddove qualche utile idiota decidesse di passare a vie di fatto e porre fine alla mia vita.
Torniamo indietro nel tempo, siamo nei primi anni ’80 del secolo scorso, un periodo ancora segnato dall’eco del terrorismo dei cosiddetti anni di piombo e della evoluzione politica sia del nostro strano Paese che dei blocchi est-ovest che caratterizzavano la Guerra Fredda in cui noi militari Nato dell’epoca eravamo operativamente e psicologicamente vincolati.
Un nucleo di operatori delle FF.AA. e dei Servizi militari italiani, contestualmente alla missione italiana in Libano, svolge un periodo formativo negli USA presso le scuole americane di Fort Bragg, Fort Benning e Fort Campbell; dei cicli addestrativi rituali con il valore aggiunto della “guerra psicologica” prevalentemente “meno ortodossa” ove apprendono metodi e protocolli per attuare sostanzialmente quanto gli americani stessi agivano in quel momento storico nei territori mondiali di loro interesse geostrategico, Italia compresa.
Nel 1984 vinco il concorso nell’Esercito e nel febbraio del 1985 sono alla Scuola SottufficialI; inizia così un anomalo percorso di carriera durato alcuni anni tra la stessa SAS di Viterbo, i paracadutisti della Folgore in Toscana ed un reparto missili in Emilia Romagna con estensioni alla Ftase di Verona; anni durante i quali frequento gli ambienti americani del Defense Attache Office dell’ambasciata statunitense di Roma perchè dei miei diretti parenti vi lavoravano, ove tale frequentazione era solo legata alle visite di saluto e nulla di riferibile alla mia funzione, visite dalle quali si svilupparono delle amicizie con i loro datori di lavoro che mi inserirono a Camp Darby, base in quel periodo ad esclusivo comando americano ed invito chi legge a restare presente alla linea del tempo, seguendo progressivamente la quale si potrà ben comprendere il susseguirsi degli eventi nella loro valenza nel quadro di insieme dei singoli fatti e quello storico più ampio.
Proprio nel 1985 il nostro governo autorizza un mutamento negli assetti della “guerra non ortodossa” delegata ai reparti dell’intelligence militare della rete “Stay Behind”, sviluppando da quel momento una struttura nota come GOS, per altri invece con Nucleo K poi diventata Sezione K una volta resa nota dalla stampa, con le varie poco verosimili leggende che ipotizzavano la K come indicazione per un nucleo killer ma tornerò più avanti sul significato di K.
Prendo quindi l’occasione per dire che dal 1985, frequentando gli americani e segnatamente Camp Darby, si parlava di una struttura denominata SOG (che in italiano diventa GOS) la quale coinvolgeva sia militari delle forze speciali che ex militari di simile esperienza nei reparti d’azione e di èlite, struttura che chiaramente si ispirava al MAC-SOG della guerra del VietNam ma aveva attualizzato la polivalenza che la caratterizzava in funzione del momento storico di transizione generale.
Progressivamente fino al 1987 saranno ampliate le basi Gladio in Italia, anche con quella trapanese, oltre alla estensione delle competenze di chi operava in S/B verso le attività informative militari in supporto alle autorità antimafia.
Proprio in Sicilia, nella base trapanese, si attivano una serie di meccanismi sostanzialmente anomali rispetto alle squisite competenze militari S/B, ovvero si sovrappongono le dinamiche informative d’intelligence militare a quelle delle polizie giudiziarie, del Sisde e dei Carabinieri che erano in quegli anni ancora parte dell’Esercito e rappresentavano nelle loro ramificazioni sia la componente militare che di polizia giudiziaria oltre agli uffici “I” storicamente molto efficaci in materia di analisi e rapportazione delle informazioni. I Carabinieri erano già organizzati e competenti per interagire con le Autorità Giudiziarie sul territorio ed avevano tutti i giusti sensori per valutare le varie situazioni d’interesse sotto il profilo della criminalità organizzata e dell’eversione da passare al Sismi se ritenuto necessario, come i Servizi si interfacciavano regolarmente con i Carabinieri per ovvie ragioni di Istituto pur ricordando che gli operatori dei Servizi non erano Ufficiali di Polizia Giudiziaria e, chi transitava al Sismi con questa qualifica provenendo per esempio dai Carabinieri, la perdeva perchè l’intelligence non svolgeva attività di polizia giudiziaria ma, al massimo, laddove ritenuto utile rispetto a talune notizie di reato attivava dei canali ben strutturati a norma di legge per interfacciarsi con le procure.
Per cui chi operava in S/B in Sicilia si è visto “confondere” con l’ampliamento delle proprie competenze estese a quelle già attive di altri reparti diversi da Gladio e con “la apertura” della rete anche verso chi non proveniva dalla divisione del Sismi delegata alla gestione S/B, finendo con il solo divenire una sorta di “facente funzioni” come responsabile Sismi della struttura trapanese ma in realtà, tutto quanto esulava dalla pertinenza Gladio era gestito da altri, anche non militari, perchè l’estensione alle competenze antimafia aveva visto l’ingerenza di quadri di questura e dei carabinieri (anche di area Sisde) più avezzi in materia.
Specificando bene questo passaggio, Vincenzo Li Causi che è stato un facente funzione del comando della base, ha dovuto sostanzialmente avallare l’uso e l’abuso della stessa anche per scopi diversi da quelli di squisita pertinenza Gladio che, in quel periodo, erano l’individuazione di potenziali soggetti da cooptare in struttura, le esercitazioni locali o più ampie con il supporto dei reparti speciali e le attività informative di sistema tipiche dei Servizi militari e, non, di polizia.
La base distaccata e l’ufficio di Trapani sono serviti anche a soggetti diversi dai soli referenti S/B del Sismi e non è inverosimile ipotizzare che le stesse esercitazioni Gladio avessero potuto scudare delle parallele attività operative e non solo addestrative, giustificabili agli occhi di qualche indagine dal complesso sistema e della segretezza delle esercitazioni di quel tipo di rete.
Proprio a Trapani sono iniziati degli anomali arruolamenti di soggetti d’interesse per la rete S/B, con metodiche ben diverse dai precedenti meccanismi di aggancio, proselitismo, valutazione, controllo e cooptazione nella rete stessa di coloro che si mettevano a disposizione per addestrarsi alle attività ISPEG tipiche di Gladio (infiltrazione, sabotaggio, propaganda, esfiltrazione, guerriglia) in vista di una eventuale attivazione della rete in caso di quella invasione sovietica contro la quale fu sviluppata Stay Behind che, bene sempre ricordarlo, una invasione mai avvenuta.
A questo proposito nel corso di un interrogatorio testimoniale che ho affrontato avanti la Procura di Bologna che procedeva le indagini sulla uno bianca, ho specificato anche con una rapportazione integrativa la differenza tra la Gladio inserita nel contesto dell’alleanza NATO S/B e quella invece “interna”, ovvero la sola Gladio italiana, già operativa in realtà per come ho accennato pocanzi anche se non eravamo invasi dai sovietici.
Mentre gli ufficiali segnalatori indicavano un soggetto potenzialmente appetibile per la rete S/B delegandone la coltivazione al seguito operativo del Sismi, con il coinvolgimento dei carabinieri, a Trapani gravitavano anche dei soggetti definiti collaboratori esterni o a gettone, ovvero personale che non rientrava nei registri dei collaboratori esterni del Sismi e che lo stesso Servizio non aveva coltivato per Gladio ma, con la base Gladio di Trapani, o meglio con l’ufficio cittadino di Li Causi, si interfacciavano anche solo per lasciare o prendere una doppia busta gialla o per triangolarsi con altri operatori o capimaglia sul territorio o di temporanea transizione.
Sulla natura, diversa dal Sismi, di questi collaboratori esterni si è estesa la mia testimonianza avanti le AA.AA. quando ho parlato della cooptazione da parte di soggetti chiaramente parte di una amministrazione militare di polizia o d’intelligence dello Stato, perchè gli incontri avvenivano nei loro uffici e non in qualche bar dello sport, nei confronti di ex appartenenti a dei reparti del genere, magari congedati per motivi diversi o che non vinsero il concorso in SPE, come tali ben felici di rientrare in qualche modo nel circuito delle amministrazioni dello Stato, soprattutto se caratterizzato da quel livello di segretezza anche se, molti di questi, non avevano dei NOS elevati e non avevano siglato dei certificati per il trattamento del segreto, pur in alcuni casi avere invece nozione di notizie classificate o “accesso zero” ai sistemi informavi dell’epoca oltre ad acquisire delle competenze specifiche, per esempio in materia di armi ed esplosivi, immersioni o comunicazioni comprese le intercettazioni, grazie alla formazione militare ricevuta pari a chi si brevettava nei corsi regolari ma senza acquisire un brevetto effettivo; competenze estese anche al settore Humint, OCP misure e contromisure di sorveglianza, valutazione dei rischi e penetrazione degli obiettivi operativi, specialmente se appartenenti alle amministrazioni militari o di polizia.
Soggetti anche psicologicamente manipolabili in forza del vincolo di sudditanza verso il proprio livello superiore, condizionati dalla potente ideologia politica e pronti a soddisfare i desiderata per mostrarsi affidabili ai loro referenti. Come tali strumentalizzabili all’interno di operazioni meno ortodosse diverse dalla minore ortodossia di Gladio ma in essa apparentemente inserite, ovvero a disposizione diretta dei loro referenti isituzionali senza che la centrale ne sapesse nulla ma tornerò più avanti su questo argomento.
Osserviamo ora il contesto storico del periodo, ove la Sicilia aveva già visto sin dal 1980 degli omicidi mirati e delle stragi prima di quelle del ’92 e del ’93 ad iniziare dalla uccisione da parte della mafia di Piersanti Mattarella, presidente della Regione e fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, perchè disse di voler far pulizia delle ingerenze mafiose in regione ma ancora oggi vi sono inchieste che mirano al presunto coinvolgimento di soggetti della destra eversiva dell’epoca nel suo omicidio; quindi l’abbattimento del Procuratore di Palermo Gaetano Costa, uomo e magistrato su cui poco si è approfondito anche in favore della conoscenza da parte della collettività; ritengo invece di assoluta importanza capirne le indagini che lo hanno visto poi bersaglio di chi gli ha materialmente sparato estese ai mandanti non necessariamente mafiosi, si veda l’ingerenza pidduista nella gestione degli inquinamenti delle deleghe investigative alla Guardia di Finanza che mirava al flusso dei soldi, ciò che Giovanni Falcone riprenderà insieme a Rocco Chinnici, quest’ultimo ucciso con una autobomba nel 1983, sostitutito da Antonino Caponneto che assisterà purtroppo prima alla morte di Falcone e poco dopo a quella di Borsellino, dopo la quale disse la frase “è finito tutto” che personalmente non ho mai dimenticato come simbolo di un passaggio storico importante.
Ricordo ancora una volta a chi legge l’importanza di seguire la linea del tempo per comprendere il quadro storico, conseguenziale e complementare, dei fatti.
Nel settembre del 1982 è stato ucciso il Generale Dalla Chiesa insieme alla moglie ad all’autista della “scorta automontata” come si diceva un tempo, il quale morirà giorni dopo per le ferite riportate; evento che ben ricordo perchè mi trovavo in Sicilia per motivi di lavoro di mio padre e, quel 3 settembre, i miei genitori erano nei pressi di via Carini insieme a degli amici ed hanno ricordato il trambusto dell’evento per molto tempo, soprattutto perchè non riuscirono a tornare a Licata, ove abitavamo, suscitando preoccupazione fino a quando non raggiunsero una cabina telefonica a gettoni per avvisare delle ragioni del loro ritardo, non c’erano i cellulare in quel periodo.
Il mio periodo siciliano prima dell’uniforme mi ha consentito non solo “di imparare la lingua” ma anche di comprendere quel linguaggio comunicativo tipicamente siculo fatto di ammicchi ed espressioni non verbali che caratterizzano molti siciliani; nella provincia di Agrigento ho coltivato delle amicizie sin d’allora approfondendo poi, una volta cresciuto e tornato in Sicilia, le ramificazioni dei cosiddetti “stiddari” proprio nel contesto trapanese a disposizione di chi gravitava nell’area della sede Gladio, non identificata nel solo ufficio cittadino di Li Causi dei quali parlerò più avanti.
Mentre svolgo il 58° corso sottufficiali nel 1985 ed inizio a lavorare per lo Stato avviene la strage di Pizzolungo ove fu colpito Carlo Palermo e morirono una madre con i suoi figli gemelli, fu poi ucciso il vice questore Antonino Cassarà con la sua tutela, nell’86 inizia il maxiprocesso contro la mafia nell’aula bunker dell’Ucciardone ed anche questo è un punto importante da tener presente in quella linea del tempo alla quale ho fatto più volte accenno.
Nel 1988 è ucciso Mauro Rostagno dopo che, si dice, abbia potuto videoriprendere un presunto traffico di armi che avrebbe visto coinvolta la utilizzazione della base Gladio di Trapani ed infine, nella lista degli eventi salienti degli anni ’80 evidenzio i fatti dell’Addaura del 1989 altro importantissimo momento di mutamento e di “raffinazione” delle dinamiche che hanno poi prodotto le stragi del ’92 e del ’93 sia siciliane che continentali. Per quanto riguarda il processo Rostagno, fu fatto il mio nome in una lista testi ma, poi, fu sentito Antonino Arconte come soggetto che dichiaratamente disse di aver fatto parte di una struttura della Gladio diversamente da chi scrive, perchè ho sempre detto in ogni sede giudiziaria di non aver mai avuto un tesserino del Sismi ma solo, in una o due occasioni, una tessera della Polizia di Stato con un nome che ho indicato alle AA.AA. che mi interrogarono.
Nel 1987 sono trasferito in un reparto missili in Emilia Romagna, regione che frequentavo sin dal 1985, ove in quegli anni prenderà forma la cosiddetta banda della uno bianca su cui tornerò in futuro; prendo servizio a Ravenna poco dopo il furto della salma di Serafino Ferruzzi, genero di Raul Gardini, nel momento in cui la famiglia Buscemi di Palermo entrò negli assetti societari e fu Gardini a non credere alla richiesta di riscatto apparentemente avanzata da criminali comuni, indicando nei rigoli mafiosi palermitani il gesto simbolico ed evocativo della trafugazione della bara.
Torniamo alla mia percezione degli eventi sin dal 1985 nel corso della mia anomala carriera che, nell’autunno del 1987 mi vede aggregato dal reparto della Folgore in cui ero stanziato ad uno a Ravenna; sono in quel periodo consapevole di condurre una carriera diversa dai colleghi del corso sottufficiali, di perimetrare degli ambienti e dei colleghi di FF.AA. con un carattere di segretezza elevato anche perchè alcuni di questi transitano ai Servizi ed altri sono inseriti nella rete S/B come istruttori, con i quali mi incontro prevalentemente a Camp Darby per ragioni amicali o di opportunità e, non, per congiute attività operative.
Nella base americana sin dal gennaio 1986 ho un passi a lungo termine e non necessito più di avere il cosiddetto sponsor al Gate 4, ove in quel periodo c’erano sia gli MP americani che i nostri Carabinieri del nucleo Setaf con una propria casermetta in base, ove mi interfaccio sia con degli americani delle forze speciali (5th special forces group) e dell’82nd airborne division oltre a chi era inserito nelle attività SOG che, come ho detto, diventa GOS in italiano mentre nasce la FIR (forza di intervento rapida).
Per quanto a mia conoscenza proprio il GOS rappresenta il momento di scissione tra coloro regolarmente inseriti in S/B e chi ha dato inizio alle fuoriuscite dal contenitore Gladio per scopi eversivi e, non più, vincolati al solo fascistoide folclore ideologico che caratterizzava molti paracadutisti di ogni grado in quell’epoca storica. Scissione che ha provocato una sorta di guerra intestina in seno ai Servizi tra coloro che, pur condividendo l’ideologia politica, erano in ogni caso fedeli allo Stato Democratico ed al governo protempore anche se inviso, diversamente da chi, e contro chi, era legato al solo valor di Patria ed ai riferimenti ideologici “Onore e Fedeltà” più compatibili con le reminiscenze nazifasciste che con il giuramento fatto allo Stato.
Sulla differenza tra senso dello Stato e valor di Patria tra noi paracadutisti dell’epoca scriverò un futuro articolo per meglio comprenderne il significato. Invito chi legge a prendere atto che da questo momento vi è chi coopta dei propri collaboratori di fiducia, sia interni che esterni, non più in base alle regole del Servizio o della amministrazione di appartenenza, ma in modo “privato” e su base fiduciaria, creando così una proiezione del conflitto intestino in una sorta di guerriglia tra i loro collaboratori che, soprattutto gli esterni, assumono un ruolo importante per capire le ramificazioni siciliane in particolare.
Contestualmente sin dal 1986 si stava attuando un nuovo modello di destabilizzazione del Paese, ben diverso da quello fino a quel momento conosciuto nei fatti eversivi e nel periodo del terrorismo, ove il sunto delle ingerenze anche di paesi stranieri e delle deviazioni dei nostri Servizi si concretizzava nel “destabilizzare per stabilizzare” colpendo appunto l’intero Paese con le stragi avvenute fino a tutto il 1984.
Il nuovo modello di destabilizzazione si concentra su due sostanziali differenze, la prima riguarda i territori più piccoli ovvero le regioni e non l’intero Paese, mentre la seconda vede l’assenza di sigle identificative di qualche struttura eversiva tale da riconoscerne la lateralizzazione, le rivendicazioni o l’origine ideologica extrapolitica ma solo una qualche “immagine del terrore” sovente rappresentata dal mezzo di trasporto come la banda della uno bianca in Italia o quella in Belgio del Brabante.
L’operazione falange armata prende forma in questo periodo, ove nello stesso momento si assiste ad uno strano fenomeno tra la Toscana e l’Emlia Romagna; infatti in un breve lasso di tempo si osservano delle condotte criminali poste in essere da appartenenti alle forze armate e di polizia fino a quel momento regolari, prevalentemente in Emilia Romagna e diversi dai fratelli Savi, i quali saranno poi associati alla banda della uno bianca e nel contesto delle loro azioni di sangue si affacciano le rivendicazione dell’allora sconosciuta falange armata.
Mi si permetta ora una piccola autocelebrazione laddove sono stato io a coniare il termine operazione riferendomi alla falange armata, per definirne il significato di guerra psicologica. Nel 2007 pubblicai un articolo in tal senso e ricevetti alcuni inviti per confrontarmi con chi poi scrisse un libro sulla faccenda e sono felice oggi di osservare anche i magistrati aver adottato l’operazione falange armata come una azione d’intelligence e non una struttura tout court; questo mi ripaga quando negli anni ’90 ero sbeffeggiato parlandone negli stessi termini.
I connotati psicologici della operazione falange armata somigliavano alla ampia polivalenza del SOG statunitense, GOS in Italia, ove la scissione in quest’ultimo a cui ho fatto accenno vedeva degli operatori regolarmente inseriti in esso tra ufficiali e sottufficiali del Col Moschin, del Comsubin, dei Falchi Blu e del Tuscania o già al Sismi in area S/B come gli “OSSI” ma, anche, dei soggetti convinti di farne parte perchè cooptati da chi gestiva il progetto operazione falange armata i quali, in realtà, erano sconosciuti al Sismi e, tra questi, presumibilmente degli ex operatori della Folgore e del Tuscania (in quel periodo ancora in Folgore) e degli operatori di polizia e dei carabinieri ancora in servizio.
Il nuovo modello di destabilizzazione aveva iniziato a produrre i suoi effetti con quanto posto in essere prevalentemente a Bologna ed in Emilia Romagna.
Tra il 1985 ed il 1987 sono un assiduo frequentatore della base di Camp Darby ove sono conosciuto dagli americani come un militare di carriera perchè mi hanno visto entrare quando ero ancora alla SAS e successivamente con il basco dei paracadutisti e, di tanto in tanto, gli incontri amicali con degli italiani militari e civili si traducevano in una sorta di “saletta” all’interno della palazzina del comando 8th gruppo di supporto dello US Army, ove al piano superiore vi era un ufficio della ristretta rappresentanza militare del collegato italiano composta da un ufficiale se non ricordo male e da un collaboratore perchè, al netto delle esercitazioni congiunte, in quell’epoca Camp Darby era totalmente a controllo americano ivi comprese le sezioni distaccate di Coltano, di Stagno e di Livorno e non come in tempi recenti a comando italiano con la presenza interna dei reparti delle nostre forze speciali.
La “saletta” era quindi un luogo sostanzialmente virtuale ove si parlava tra soggetti chiaramente ideologizzati e provenienti sia dai reparti della Folgore che coloro da questi transitati ai Servizi, soprattutto chi era al “nono” Col Moschin in quel periodo ancora in Folgore come il “Tuscania” dei carabinieri.
Sin dalla SAS di Viterbo la mia frequentazione con gli ambienti americani aveva suscitato l’interesse del Comandante della scuola e dell’addetto “I” con il quale mi interfacciai in alcune occasioni per spiegarne i motivi e, proprio con l’ufficiale “I” nacque una spontanea collaborazione che preseguì con altri operatori “I” nei successivi reparti in cui prestai servizio o con reparti collegati.
Nel novembre del 1986, invito a fare attenzione al periodo, parlai con un addetto “I” dei contenuti di un incontro nella “saletta” durante il quale ho percepito che dal solo folclore ideologico si prospettava il passaggio ad una strutturazione del desiderio di “mutare il Paese” indicando i partecipanti appartenenti ai reparti di FF.AA. o chi diceva di essere transitato ai Servizi, cosa effettivamente abituale per quel tipo di reparti tra il passaggio al RUD e successivamente al SISMI.
Nel dicembre del 1986, un personaggio che si scoprirà poi essere legato ad un carabiniere paracadutista del Tuscania, denunciò uno strano episodio che si trasformò in una notizia di reato proseguibile d’ufficio.
Nel Marzo del 1988, mentre ero appena entrato in licenza illimitata ma non ancora in congedo a causa di una insorta patologia visiva, sono stato arrestato su mandato di cattura di un magistrato nella formula della urgenza della custodia cautelare, nonostante il lungo periodo trascorso dal 1986; fatto prigioniero da incensurato all’interno del carcere di Livorno per il pericolo di fuga e di inquinamento delle prove quando tra il 1986 ed il 1988 sono sempre stato a disposizione dello Stato in uniforme, con note caratteristiche eccellenti ed encomi.
Il magistrato che ordinò la cattura sarà poi egli stessi arrestato e condannato in via definitiva, per fatti diversi ma rende chiaro il panorama ed i risultati delle mie ricerche hanno evidenziato della documentazione che pone in discussione la scarsa, breve e autoprodotta indagine condotta.
Quando nel novembre del 1988 torno “in libertà” inizio infatti delle ricerche del tutto private, anche perchè vigeva il vecchio codice e non c’era l’opportunità delle indagini difensive, indirizzandole nell’unico ambiente di lavoro e di frequentazione in cui ero cresciuto sin dal 1985, quello militare italiano ed americano.
Ricerche che mi portano, per scopi sostanzialmente personali, a mettere in luce quando gravitava nello stesso ambiente che avevo per anni perimetrato e, questo, è stato il vero motivo della annosa guerra che ho condotto con chi non s’interessava ai fatti di Fabio Piselli tout court ma a tutelare quanto in essere relativamente alla fuoriuscita dal GOS in termini di operazione falange armata nel settore militare toscano, gli eventi riconducibili alla Emilia Romagna e quanto poi di presunto si sospetta ancora oggi con il supporto alle stragi siciliane e continentali nelle attuali indagini procedute da più procure.
Fabio Piselli è stato “una presenza anomala” sin dall’entrata in carriera e, dopo l’esperienza della prigionia, non più gestibile dal livello superiore o condizionabile dalla ideologia di reparto bensì proteso ad acquisire le prove della mia innocenza e, per farlo, ho dovuto sfondare quelle porte ad accesso filtrato ove vi erano altri segreti ben più importanti sugli eventi che hanno caratterizzato il decennio 1985-1995. Ovvero fatti apparentemente scollegati tra loro ma uniti dalla presenza trasversale di soggetti che ritroviamo in più eventi, il cui saldante è presumibilmente quello della fuoruscita dal GOS per gli scopi che ho già detto e della gestione dei collaboratori che hanno posto in essere dei gravi fatti di sangue, coscienti o meno di partecipare ad un “gioco grande”.
Sono stato quindi una presenza anomala in numerosi eventi anche di esclusiva pertinenza delle sole amministrazioni dello Stato, nelle quali non ero più parte, tanto che qualche inquirente ha saputo evidenziarla riconoscendomi in più situazioni, tali da non poter più avallare la fanghiglia divulgata che recitava una qualche mia malattia mentale che mi singeva a giocare allo 00beppe pur, non lo nego, io stesso ho avallato tale ipotesi giocando allo scemo quando passare per pazzo significava il male minore.
Da quel momento sono stato interrogato sotto varie formule, dal colloquio investigativo segreto alla collaborazione fiduciaria, mettendo subito in chiaro che qualunque potenziale forma di protezione, anche ventilata, non mi interessava perchè sono convinto che debbano essere i cattivi a “scomparire” e non chi partecipa alla ricerca di una verità. Ho accettato solo un breve periodo di tutela, “imposta” dalla DIA e ringrazio ancora i carabinieri per il tempo che hanno dedicato alla mia Famiglia.
Ho scelto sin dal 1988 di essere “solo contro un gigante” perchè avevo la piena coscienza di non potermi fidare nemmeno dell’amico alla Digos o dell’ex collega di reparto, tanto forte era l’ingerenza di chi aveva nella funzione e nel proprio ufficio la capacità di monitorare e condizionare la qualità delle indagini in senso lato e delle mie ricerche, ben note a coloro i quali chiedevo inizialmente aiuto fino a quando ero convinto di essere stato oggetto solo di un errore di persona, per poi comprendere di aver “sostituito” il nome del carabiniere paracadutista indicato dalla vittima, anche se la stessa disse di aver fatto un favore a coloro per i quali fungeva da confidente e amante adombrando che nulla in realtà mai avvenne; questo carabiniere indicato non era lontano dagli ambienti bolognesi in cui altri ex carabinieri paracadutisti stavano ponendo in essere dei reati associativi con la cosiddetta banda Bechis e sospettati di far parte del circuito della uno bianca.
Concludo questo “testamento” con la premessa e la speranza di approfondire gli eventi con futuri articoli, indicando quando ho detto avanti le AA.GG.in materia di “nucleo o sezione K” laddove un magistrato sospettava che avessi partecipato al progetto falange armata, dicendo che la sigla “K” non era a mio parere riconducibile al significato killer ma presumibilmente al significato “KEY”, ovvero un nucleo formato dai capicellula di riferimento per i collaboratori, esterni in particolare, gente strutturata in ambiente S/B e compatibile con le fuoriuscite dal GOS i quali fungevano da capimaglia per le proprie reti di collaboratori, sia esterni che interni nelle varie amministrazioni dello Stato. Soggetti chiave (key) quindi, non killer per quanto il loro agito possa presumibilmente aver favorito le varie operazioni che hanno caratterizzato il presunto coinvolgimento di gente dello Stato nei fatti di sangue avvenuti tra il 1985 ed il 1995.
F.P.