l’acqua come elemento educativo…

Sono stato un educatore poi dirigente di comunità infantile che ha utilizzato sin dai primi anni novanta del secolo scorso gli ambienti naturali come palestra e laboratorio delle attività dedicate prevalentemente ai minori affetti da delle disabilità fisicomotorie sensoriali ed intellettive di varia natura e indice di gravità, ove il mare aperto e le acque confinate hanno assunto un ruolo fondamentale sia per le attività educative che riabilitative in generale.

Oltre trenta anni fa i disabili non incontravano la stessa sensibilità odierna, gli appellativi ordinari erano quelli di handicappati o di mongoli e non sempre è stato facile mettere in acqua i miei disabili insieme ai bambini normodotati ma pian piano sono riuscito a creare dei gruppi misti ed integrati, anche se ben ricordo qualche adulto che temeva che i portatori di handicap fossero contagiosi ma, come dico spesso, l’ignoranza è una disabilità sociale difficile da debellare.

L’acqua ha nella sua percezione di assenza di gravità una risorsa importante, soprattutto per le disabilità fisicomotorie o i politraumi, anche se è la galleggiabilità e la densità che consente di gestire la profondità del corpo in acqua e proprio questo ci permetteva di misurare gli assetti in base alle attività da condurre, anche quelle subacquee e non solo in assetto positivo.

Il beneficio che alcuni bambini e ragazzi provavano consisteva nella immediata percezione di galleggiamento contro l’iniziale paura di affogare, naturalmente non i più piccoli che coinvolgevo nelle acquamotricità neonatale, bensì coloro più grandi molti dei quali non si erano mai spinti tanto perchè si riteneva che non ne fossero capaci ed erano scoraggiati dagli adulti anche a seguire il proprio istinto. Sia ben chiaro, non sono stato il primo a farlo ed anzi ho seguito quanto avevo appreso negli USA ma ho avuto l’onore di essere uno dei pioneri di quel tipo di attività nel territorio livornese e sono felicissimo di vedere oggi il sereno accesso di disabilità anche complesse a molte discipline sportive.

L’acqua è un ritorno in placenta, è un elemento dolce ed unico nella sua immensità, è accogliente ed offre al disabile quel senso di leggerezza psicoemotiva ben più importante della sola galleggiabilità, soprattutto nelle fasi di acquamotricità neonatale dedicate ai bambini nati con le complicanze di una pci paralisi cerebrale infantile.

Nuotare o più semplicemente galleggiare in acque libere o confinate è già essa stessa una impresa per i cosiddetti normodotati, una esperienza di benessere una volta superati i timori e, per chi a terra vive delle difficoltà importanti, ritrovarsi libero dai pesi rappresenta una opportunità per ricompattarsi con sè stesso, con la propria fiducia, con il riconoscimento di abilità invece credute perdute o irrangiungibili, ovvero uno stimolo motivazionale che continua anche dopo essersi asciugati.

L’acqua educa alla umiltà del saper fare, non permette gradassi o guappate di sorta, misura le capacità di ognuno ma lo fa in un modo democratico perchè in acqua si è tutti uguali e, allo stesso tempo, è proprio il rapporto con l’acqua rispetto alla nostra densità che personalizza l’esperienza così da apprendere le competenze in modo individuale.

Certamente alcune disabilità richiedono le dovute attenzioni, questo non perchè l’acqua sia controindicata ma per essere pronti ad ogni varia ed eventuale emergenza o crisi del bambino o del ragazzo, motivo per cui ritengo indispensabile una attività pedagogica e propedeutica all’approccio al mare o alla piscina, iniziando a giocare nella vasca da bagno per esempio.

Ho sempre coinvolto i genitori nelle attività acquatiche, insegnando a nuotare a chi vedeva l’acqua come il fuoco da cui stare lontani e sono felice di aver delfinato qualche genitore fin troppo intimorito da un elemento amico ma selettivo.

Mi permetto di consigliare i genitori, se non in casi specifici, di rinunciare ai bracciali, ai salvagente fantoziani, ai vari presidi di sicurezza contro gli affondamenti in stile titanic che raramente potranno accadere in danno dei loro figli, perchè noi tendiamo a galleggiare in acqua, basta solo imparare a farlo nella maniera progressiva e corretta, per poi decidere se approfondire la conoscenza con il mare grazie alle immersioni subacquee per esempio e vi assicuro che sono delle esperienze molto gratificanti.

Purtroppo assisto sempre più spesso alla immaturità di quei genitori che pur di far due foto al bambino in acqua, lo gettano dentro senza competenze con i rischi conseguenti, oppure vestono come un palombaro il povero neonato felicissimo di stare in acqua anche con un semplice costume-pannolino.

In ogni caso entrate in acqua e scoprirete il delfino che è in voi, una esperienza educativa anche per i più grandi…

F.