due parole sull’ignoranza sul 25 aprile, una ignoranza che imprigiona tutti nelle celle del non voler sapere…

I miei nonni ed i miei genitori mi hanno sempre ricordato “le tedesche”, così appellavano i soldati tedeschi che stazionavano a Tarquinia, la mia Famiglia ha infatti origini prevalentemente Tarquiniesi con richiami abruzzesi del nonno paterno e qualche nascita romana poi mamma e babbo sono emigrati a Livorno in cui sono nato.

In Tarquinia ho i ricordi parentali con nonno Augusto Piselli, mentre non ho mai conosciuto il nonno materno Lorenzo Moscatelli morto ancora giovane, invece le nonne Angelina Mastacchini in Piselli e Paolina Mancinelli in Moscatelli le ho vissute appieno specialmente nonna Paolina.

I loro ricordi di guerra hanno sempre avuto la meravigliosa connotazione del “tarquiniesismo” dei suoni con l’accento tipico della vocalizzazione allungata al richiamo di un nome ambiguo associato agli sguardi dai silenti ammicchi per evidenziarne la diffidenza, per esempio riferendosi a chi dalla camicia nera era passato al “paisà”, oltre alle corse ai rifugi delle grotte “dell’Alberata” e quelle del “Paparello” e le loro abitazioni tra la cittadina e le zone oltre le porte di Tarquinia, lo sfollamento e quindi il ritorno ad una vita senza più il timore delle cannonate dopo la liberazione, avvenuta per quanto concerne Tarquinia nel giugno del 1944, ricordando l’uccisione di Alfredo Canali alla “Carcarella” ad opera di militari tedeschi nel rubargli i cavalli.

Storie comuni a quelle di molti altri al netto dei singoli episodi caratterizzati dalle scelte individuali, ora di fronte ai fascisti prima ed ai repubblichini poi, ora nell’aiutare i partigiani fino ad accogliere gli americani ai quali un repubblichino sparò qualche ultimo colpo di pistola appena entrati in città, ma anche la paura delle famigerate truppe marocchine dell’armata francese stazionati nei pressi di Marina Velka e tutta una ampia serie di ricordi mai però diventati memoria, perchè nonostante le mie insistenze nel voler conoscere le loro storie i miei familiari sono sempre stati resistenti nel parlare di quanto hanno vissuto e patito oltre i sommari riferimenti al periodo.

Solo quando sono entrato in carriera militare nel 1985 e grazie ai parenti che lavoravano all’ambasciata americana di Roma nel settore militare, ho potuto svolgere alcune ricerche storiche, una delle mie passioni è proprio la storia e la ricostruzione genealogica delle famiglie, scoprendo così anche il vissuto dei miei parenti in un periodo terribile che ha condizionato tutti, dagli adulti di allora ovvero i nonni ai loro figli bambini e adolescenti, i miei genitori. Ho compreso che la storia è fatta di tante storie e di vissuti emotivi che ne mediano l’interpretazione, mutando i fatti a misura delle difese psicologiche post traumatiche e rimorsi di coscienza contrapposti alle rivalse di giustizia ed alla sete di vendetta, perchè questo è sostanzialmente il sunto del ricordo che ci hanno trasmesso, pezzi ricuciti di strappi feroci, rancori mai elaborati, lutti giovanili come la morte della zia Francesca Piselli il cui nome ho trasmesso alla mia quarta figlia e l’ignoranza diffusa che aiuta a dimenticare per non soffrire il ricordo, camuffando e talvolta sabotando il ricordo stesso.

Dinamiche narrative e meccanismi psicosociali che ancora oggi nel 2024 ritroviamo nella diatriba politica di ogni 25 aprile, data convenzionale che ricorda la liberazione dal nazifascismo, di fronte alla quale prendiamo atto di non aver mai elaborato il trauma del fascismo ed il residuale antifascismo confuso con il solo comunismo, quando nella resistenza hanno combattutto più realtà ideologiche e politiche e spinte individuali oltre i soli comunisti, ma molti temono ancora che dichiararsi antifascisti possa equipararli ai comunisti e, quel timido timore del silenzio, sviluppa le ambiguità interpretative fino al desiderio di molti di superare il passato senza approfondirlo nei dettagli, contro il volere dei pochi di differenziare i partigiani caduti per la Liberazione ed i morti fascisti repubblichini, perchè i morti sono simili nella fine ma non uguali nella battaglia e nelle ragioni del combattere.

Il governo attuale rappresenta appieno l’ambiguità di un semplice dichiararsi antifascista con le chiare parole riferendosi invece a fatti e giuramenti sulla Costituzione per mostrarsi tale, ma si rischia di rifugiarsi in una apatica prassi istituzionale rispetto che offrire un incontrovertibile distacco da un passato che, di fatto, non è mai passato perchè ha avuto una continuità politca e sociale importante.

Di fronte a tutto questo l’ignoranza, ancora una volta, si trasforma in una grotta-rifugio utile a tutti coloro che non vogliono, non sanno o non possono permettersi la forza della scelta, soprattutto nel nostro strano Paese caratterizzato da troppi interessi convergenti e dai labili ideali, mediando l’ignoranza stessa la dis-conoscenza degli eventi invece ricuciti insieme solo dai presunti fatti narrati in modo strumentale e spesso privati dal loro reale quadro di verità e progressione storica.

Sono cresciuto in una Livorno ancora realmente rossa, con un padre comunista antifascista ma non mi convincevano per esempio i tanti compagni che pur parlando di umiltà, di popolo e di lotta ai padroni come lui, avevano invece al collo dei pesanti collanoni d’oro e la Mercedes e possedevano più beni immobili come i capitalisti, per questo pur bevendo la spuma bianca al circolino del PCI ne restavo a distanza e, crescendo, soprattutto una volta indossata l’uniforme, sono stato influenzato dagli ideali tipicamente militari dell’onore e della fedeltà, della Patria e della bandiera e della cosiddetta bella morte dell’ardito soldato che offre il petto al nemico. Sono infatti diventato un fascista utilizzando gli stemmi, i motti, le tradizioni, il gergo e gli ideali degli arditi e del ventennio, imparati nelle caserme e nei paracadutisti, credendo fortemente in quei valori che ispiravano il mio lavoro e lo stile di vita che avevo assunto con la scelta di lavorare in armi, anche se compiuta ancora infrasedicenne.

Negli anni ottanta sia quando ero a Viterbo alla Scuola Sottufficiali che poi nelle caserme della Folgore, mi sentivo un camerata come i miei colleghi e “fratelli” in armi, con saluti fascisti e comportamenti che ben ne evidenziavano l’ideologia anche provocando i civili pisani e livornesi che vedevano in noi parà solo dei “facisti” e di tanto in tanto qualche scaramuccia scattava. Ricordo quando un collega mi accompagnò in una sede romana del Fronte della Gioventù, nella quale potevi entrare solo se sponsorizzato da un militante, in cui iniziai a prendere coscienza del folclore di dichiararsi un camerata rispetto al valore di esserlo, come al tempo lo intendevo e come tale veniva veicolato nella narrazione militare, rinunciai infatti ad aderire al FdG e pian piano presi le distanze dal folclore privo di una ricca conoscenza della storia ma solo vincolato ai fregi storici.

Fu proprio grazie alla passione per la storia ed anche allo zio Mimmo che in una mia visita all’ambasciata americana potei incontrare chi mi spiegò, quale veterano di guerra italiano, il significato della Centuria Nembo e dello squadrone F dei paracadutisti che liberano Poggio Rusco (MN) e Filottrano (AN) dai tedeschi che progressivamente si ritirarono, compiendo purtroppo molti massacri lungo la linea gotica nel farlo. Offrendomi così l’opportunità di porre in discussione la sola vena fascista dei paracadutisti che conoscevo, lo stesso zio Mimmo era un reduce ed era stato prigioniero di guerra ed il loro confronto ha avuto un impatto importante per la mia evoluzione, perchè era privo di ideali ma pregno di esperienze.

Quel restare attento a queste differenze mi ha consentito di riconoscermi come soggetto autonomo ed in quel pensiero libero che ho coltivato da sempre, ma pronto a confrontarlo per evolvermi e per non omologarmi al solo folclore ed alle tradizioni ideologiche, suscitando non pochi conflitti con alcuni miei colleghi camerata tra i quali chi viveva pienamente i propri ideali fino a superare il valor di Stato per difendere il proprio senso della Patria anche con l’adesione a quei progetti eversivi degli anni ottanta dai quali sono nati i miei coinvolgimenti nelle varie inchieste, su cui pubblicherò ancora quando tratterò il tema della falange armata.

Osservo oggi, cresciutello ormai e padre di 5 figli, i miei ex colleghi ancora vincolati agli stessi identici fregi, motti e comportamenti di allora, mai realmente evoluti perchè autoreferenziali a quella bolla di contenimento delle difese del fascismo nel minore male possibile, proiettando nei solo nazisti gli agiti terribili dei massacri senza però prendere in esame la collaborazione dei fascisti e, quando questo accade, si impone l’elevato ideale dell’onore di essere restati dalla parte in cui si credeva e morti in battaglia contro i partigiani comunisti, i quali non volevano liberare l’Italia ma imporre il regime comunista, assieme a tutta una serie di racconti utili per mediare il confronto con la realtà, come ho detto dinamiche e meccanismi comuni agli essere umani di fronte alla sofferenza del porre e porsi in discussione. Racconti che non sono menzogne effettive con l’intenzione di mentire, ma bugie psicologiche per restare radicati alla identificazione che l’essere di destra, e fascista, significa in termini di soddisfazione ideologica e di appartenenza, di fratellanza e senso del gruppo laddove riconoscersi solo ed in grado di porre un confronto al gruppo stesso rappresenta il rischio di esserne espulso, come accaduto a me negli anni ottanta.

E’ così punto e basta, perchè lo diciamo noi, è un comportamento tipico di una autorità di potere e di una presunta autorevolezza da difendere grazie all’impedire i confronti, un rifugio di chi soprattutto deve riuscire a fare i conti con il passato e non può farli, perchè facendoli si ritroverebbe costretto ad evolvere e porre seriamente in discussione il vincolo ai fregi, ai motti ed alle tradizioni squisitamente e fortemente indentificative nelle destre mentre, a sinistra, vi è più una identificazione comportamentale associata a quel pizzico di supponenza che vuole rimarcare il non essere ignoranti quando, l’eventuale formazione culturale, non sempre rappresenta la conoscenza della storia e la capacità di riconoscere se stessi come singoli individui che formano un insieme rispetto alla sola massa che caratterizza le marce destrorse o il riempir le piazze di popolo.

Personalmente, maturando, ho scelto di investire nella capacità di autonomia dei singoli individui, grazie alla quale un insieme sarà formato da tante singole autonomie convinte e coscienti di formarlo, diversamente dal solo adeguarsi alla massa ed identificarsi in essa, labile a tal punto che non appena ne scadono i vantaggi conseguenti, facile sarà il cambiar casacca e, proprio questo, rappresenta gli italiani in buona sostanza.

Il 25 aprile è il giorno della Liberazione dal nazifascismo, per la quale sono morti nonni e genitori, fratelli e sorelle, uccisi dai tedeschi e dai fascisti, come morti sono i tedeschi ed i fascisti che, per ordini ricevuti o per pieni ideali, hanno combattuto le battaglie della Resistenza, della guerra civile, della Liberazione.

Questo governo ha la grande opportunità di rendere pace a tutti noi, dichiarandosi pienamente antifascista senza ambigue interpretazioni collaterali, perchè consentirebbe anche a chi è ancora fascista di elaborare il suo esserlo in una ideologia meno vincolata a degli anacronistici “credo”, molto utili come polo cooptativo dei giovani, ma forte di quel confronto idoneo a maturare una piena convizione di destra senza più giocare al fascista di un ventennio che non esiste più e che non deve più esistere.

Il rischio è infatti quello di riprodurre una falsacopia di ideali squisitamente fascisti in mano a soggetti privi di conoscenza della storia perchè ne apprezzano solo le parti più gradite e manipolatorie, ovvero persone che una volta giunti al potere sapranno da un lato far finta di essere democratici e, dall’altro, esprimere quanto appreso nella loro formazione di fascisti da “tener segreto” come fossero in una missione di conquista e non in una maggioranza di governo di tutti gli italiani.

Personalmente non ho problemi a dichiararmi antifascista, non per questo ho ideologie comunistoidi o resto radicato ai valori destrorsi tout court, semplicemente rappresento un voto autonomo ed indipendente, rappresento me stesso di fronte alle opportunità politiche che indirizzano la collettività verso la crescita personale, il benessere relazionale, l’equità dei diritti e dei doveri e delle opportunità, pur in un Paese talmente strano da essere scaduto in meri slogan induttivi della destra e controslogan confusivi della sinistra.

La politica, quella seria, è ben altro e tutto questo è solo il frutto dell’ignoranza che coltiva ignoranti, votanti di consenso e non cittadini autonomi a tal punto da sapere cosa votano, quando lo fanno…

F.