due parole sul coraggio delle emozioni e sulla protezione della Famiglia…

Quando alcuni ex colleghi in uniforme durante un confronto mi hanno dato del “sentimentalone” lo hanno fatto con un significato denigratorio rispetto al “forte” che un uomo dovrebbe essere e, per esserlo secondo questi, l’uomo deve manifestarsi duro, quasi freddo, superiore ai sentimenti ed alle emozioni o quantomeno bravo abbastanza da non manifestarli se non privatamente soprattutto con i figli, con i quali occorre essere severi altrimenti vi è il rischio che diventino dei mollaccioni.

Una cultura tipica delle organizzazioni gerarchiche e, in fondo, una famiglia lo è e mai deve scadere l’autorevolezza del ruolo dei genitori ma, allo stesso tempo, occorre anche distinguere a mio avviso la differenza tra autorità genitoriale e autorevolezza, altrimenti vi è il rischio, appunto, di trasformare la gerarchia familiare in una caserma con il risultato finale di addestrare i figli e, non, di educarli.

Sono stato un istruttore di soldati e successivamente un educatore di minori poi un formatore di adulti, sono padre di 5 figli in piena età evolutiva e marito di una pedagogista con la quale mi confronto tutti i giorni proprio rispetto ad una mia potenziale deriva addestrativa in forza della formazione militare che ho a suo tempo ricevuto e che, non nego, ancora manifesta i residui di una “durezza” di tanto tanto ingerente nelle mie competenze educative genitoriali. Nel confronto con Sara, mia moglie, emerge rispetto ai figli quel paracadutista rimasto in me nei momenti di rimprovero durante i quali esprimo toni e posture più compatibili con una caserma ma ho cercato e cerco di ridurne gli spazi per fare spazio ad un confronto meno rigido, lasciando gli aspetti addestrativi e motivazionali solo nei momenti di difficoltà di fronte a degli ostacoli in generale o specifici, dalla scuola allo sport alle scelte importanti.

Sono invece fermamente convinto che sia decisivo superare il concetto di “padre duro” e di ruolo autoritario, dal quale misurare l’espressione delle emozioni, al fine di educare i bambini ed i ragazzi a riconoscere la propria capacità di esprimere le loro stesse emozioni, i loro sentimenti, i loro conflitti, le loro gratificazioni, le loro curosità senza frustrarne i contenuti per il timore di non soddisfare i genitori o di manifestarsi come dei deboli mollaccioni.

Più i figli sono sereni nella espressione di ogni loro aspetto emotivo e relazionale maggiori saranno le possibilità di confronto, di conoscenza e di riconoscimento di un eventuale disagio su cui intervenire con una formula educativa ricca di emozioni e di sentimenti rispetto ad un intervento addestrativo che, forse abbatte quel problema, ma non la fonte che lo genera. Un padre ha un ruolo autoritario nel momento in cui protegge i sentimenti e le emozioni della ed in Famiglia contro le difficoltà esterne, ma non può confondere la protezione della Famiglia con la sola tutela di concetti educativi anacronostici tramite una presunta autorità iperdifesa a protezione di valori più ideologici che genitoriali.

Un padre è un educatore naturale e non unicamente un addestratore di figli, in un Paese il nostro ove la cultura adulto-centrica rappresenta ancora oggi un serio ostacolo alla serena relazione con i bambini e con gli adolescenti, costretti il più delle volte ad adeguarsi alle regole degli adulti sic et simpliciter senza la possibilità di osservare gli adulti relazionarsi invece a misura di infanzia e di adolescenza proprio per costruire un linguaggio comunicativo bidirezionale e non solo un viatico di imposizioni apparentemente educative.

Parlo di coraggio delle emozioni sin dagli anni ottanta, in cui riconoscevo durante la mia evoluzione il coraggio nel solo superare la paura, per esempio lanciandomi con il paracadute, immergendomi in mare o arrampicandomi sulla roccia oppure vivendo delle esperienze ad elevato rischio ma ho compreso anche e soprattutto il valore emotivo del coraggio, oltre quello materiale utile a rappresentarsi a sè stessi e agli altri come un soggetto capace di fare e di saper fare. Un valore emotivo radicato alla persona e non al militare che in quel periodo ero, un valore proprio e individuale, completamente indipendente dalla professione e dal tessuto sociale professionale e relazionale bensì caratterizzante il radicamento a quel sè stessi in formazione, anche con la giusta immaturità da non camuffare con l’ardimento o con un ruolo che, di fatto, non ammetteva spazi di immaturità.

Il coraggio delle emozioni rappresenta il desiderio di porre e porsi in discussione, proprio quando si crede di saper fare, serve a restare umili ove l’umiltà la si riconosce nei limiti fattuali del saper fare, estremamente importanti per non confondersi con il credere di saperlo fare a presunzione di una competenza invece mai esperita.

Essere padre di 5 figli a 56 anni mi consente di riconoscermi anche come il figlio che avrei voluto essere e di interrompere allo stesso modo quella catena generazionale del padre che non vorrei mai diventare. Questo non per aver avuto un cattivo padre ma il classico genitore radicato alla sua catena generazionale, nato durante il ventennio e cresciuto sotto il regime, tempi in cui proprio la manifestazione delle emozioni richiedeva il soffocamento dei sentimenti per non rischiare di diventare dei mollaccioni, ovvero quelle generazioni che hanno imparato a fare, macinare, produrre fatti lavoro e sostentamento e, per il solo far questo, meritavano il riconoscimento delle competenze genitoriali ma in realtà erano sostanzialmente private del valore di quelle importanti emozioni nel rapporto genitori-figli e figli-genitori, raramente espresse nella loro piena misura relazionale.

Sono convinto, in buona sostanza, che la protezione della Famiglia nasca soprattutto dal coraggio delle emozioni, dal saper riconoscere un disagio interno per reagirvi con la risorsa del confronto, dell’ascolto, delle emozioni e dei sentimenti mentre per quanto riguarda le ingerenze esterne, la tolleranza da un lato e il distacco dall’altro possono offrire delle soluzioni nei casi di relazioni amicali o parentale tossiche, di frustrazione lavorativa ed altro, fino a ricorere alla manu militari solo nei casi di imminente elevata gravità.

Parlando di brevetti e di specializzazioni con gli ex colleghi di tanti anni fa, ho sarcasticamente sfoggiato il brevetto dell’Amore, ma mi sono preso delle sonore risate pur condividendo loro il senso di quanto ho inteso dire e, sono certo, che tornati a casa una riflessione tra la differenza dell’addestrare e dell’educare i figli l’abbiano fatta…

F.