due parole sulla induzione a percepire una minaccia nei cosiddetti “casi di Stato”…

La minaccia comunemente nota è quella verbale oppure codificata in segnali intimidatori di vario tipo quasi sempre associati a delle criminalità territoriali o più organizzate ma sostanzialmente riconoscibile come tale, per cui chi la riceve la interpreta nella sua manifestazione comunicativa chiara ed agisce la risposta utile alla sua tutela, ora con una denuncia ora subendo il ricatto della paura.

Questo avviene quando il minacciato lo è per il suo lavoro, poliziotto magistrato o giornalista, per aver assunto l’ufficio del testimone o del collaboratore oppure nelle situazioni tipiche dell’estorsione da pizzo ma in ogni caso rimane chiara la differenza tra lui e l’origine della minaccia, identificata in un ambiente criminale organizzato o in una singola persona fuorilegge.

Diversa è la minaccia quando, invece, gli eventi accadono nel circuito delle derive di Stato, ovvero nelle cosiddette deviazioni che si evidenziano in quei casi giuridici di spessore rappresentati dalle stragi, dalle commistioni caratterizzanti i circuiti massomafiosi e dai tanti fatti accaduti sin dal primo dopoguerra in cui ancora oggi si cercano delle responsabilità di un livello superiore o convergente ai soli ambienti mafiosi o eversivi.

Chi agisce “nello” Stato perchè “dello” Stato, inteso come operatore o funzionario di una amministrazione di polizia della difesa o della sicurezza, ha certamente un potere di influenza maggiore sia nei confronti del personale sottoposto che della opinione pubblica, oltre al vantaggio dato da un accesso informativo invece filtrato per i normali cittadini tale da consentirgli un monitoraggio degli eventi di interesse ed anche un mercatino delle informazione di polizia investigative o giornalistiche da manipolare, inquinare od occultare a tutela di interessi certamente diversi da quelli di istituto e quindi ben lontani dalla tutela della collettività, di una inchiesta giudiziaria o della sicurezza nazionale.

In questi casi, specialmente ove il soggetto-oggetto della minaccia proviene dagli stessi ambienti in armi dello Stato perchè in servizio attivo o perchè ha operato per un periodo di carriera nei reparti di polizia di forza armata o nei servizi, oppure ha prestato delle consulenze esterne ed ausilarie agli stessi apparati dopo il congedo, raramente il linguaggio comunicativo della minaccia sarà pari a quello classico nelle sue forme conosciute, bensì assumerà un aspetto più psicologico in una misura parallela alla campagna di delegittimazione, di denigrazione e di de-personalizzazione che il soggetto-oggetto della minaccia patirà a medio e lungo termine, ove il breve termine è invece sovente letale e definitivo.

Se non avviene una immediata morte fisica si alimenta al suo posto una progressiva morte sociale, professionale ed anche relazionale laddove lo spessore della delegittimazione consente a chi la agisce di abusare delle risorse del proprio ufficio, atteso che si parla di soggetti deviati o infedeli ma che lavorano serenamente all’interno dei corpi e delle amministrazioni dello Stato da cui traggono il vantaggio della maggiore misura di offesa, alibizzata inoltre dalla funzione ricoperta. Accade quindi che il soggetto-oggetto della minaccia, sia esso una fonte testimoniale che un tecnico, assiste alla cronologica distruzione della propria vita in una linea del tempo che rappresenta la migliore arma per coloro i quali agiscono una raffinata opera minatoria, il tempo appunto. Soprattutto se la minaccia non è immediatamente codificabile come tale nella valutazione di una notizia di reato di fronte ad una denuncia per il seguito delle competenti autorità giudiziarie, ma solo percepita dal denunciante e non rispetta sostanzialmente i requisiti di un fatto-reato utile a formare una CNR.

Nella mia esperienza posso portare gli esempi delle numerose false accuse ricevute e patite nel corso di più anni, dimostrate tali ma solo dopo averne subito le conseguenze sotto vari profili, ove la delegittimazione è il principale scopo da parte di chi ha modo ed opportunità di abusare delle risorse di un ufficio istituzionale e l’influenza del suo ruolo. Una falsa accusa esprime la sua valenza estorsiva e minatoria proprio nel tempo che ho dovuto impiegare per dimostrarne l’infondatezza, durante il quale si perdono i requisiti professionali e scadono i progetti in essere, si riduce il valore fiduciario, si assiste alla fanghiglia che mina sia la reputazione sociale che la dignità personale e soprattutto si attiva il classico meccanismo “della presa di una prudente distanza” sia da parte dei colleghi che delle relazioni amicali ed anche affettive se le accuse sono così infamanti da seminare un immediato pregiudizio, il quale si trasformerà in una condanna sociale vera e propria dopo 5-7-10 anni di procedimento penale e, questo, anche se saranno chiari gli esiti nella infondatezza della notizia di reato originale.

Il messaggio puramente estorsivo di quanto sopra, specialmente se si sono patiti anche dei periodi detentivi in custodia cautelare, è significato dal “possiamo fare di te e dei tuoi familiari qualsiasi cosa” ed è vero in buona sostanza.

Parallelamente alla attribuzione di reati mai commessi, la delegittimazione avviene anche con l’uso strategico delle informazioni tossiche ora sulla condotta morale ora sugli aspetti psicologici; quindi saranno immesse nel circuito delle segnalazioni e delle notizie di polizia ed anche nelle cosiddette voci di popolo, delle informazioni riguardanti una presunta omosessualità o promiscuità in tal senso, una denigrazione mirata alla descrizione del soggetto-oggetto di questi attacchi come un “delirante” affetto da megalomania da un lato e da sindromi persecutorie dall’altro, uno che vede i film o trova i mostri ovunque, fino all’inquinamento delle sue dichiarazioni testimoniali al fine di renderlo inattendibile o, ove invece è considerato pienamente attendibile, ridurlo comunque al livello di testimone utile per le indagini (fonte fiduciaria) ma poco spendibile all’interno di un dibattimento proprio per il suo essere ormai “chiaccherato”.

Se ti incendiano la vettura te lo sei fatto da solo. Se trovi topi decapitati sulla soglia di casa è stato un gatto serial killer. Se chiami i carabinieri e questi sono indotti a considerarti poco credibile i tempi di intervento si dilateranno e la tua esigenza di tutela si trasforma nel diventare solo “un rompicoglioni”.

L’induzione a percepire una minaccia ed un pericolo per sè stessi o contro i propri familiari è una vera e propria guerra psicologica, fatta di porte aperte delle auto e di casa da cui però non manca nulla oppure vi si trovano oggetti apparentemente senza senso, se non evocativi di un evento grave accaduto, nel mio caso il trauma cranico di Matilde con il coma e la lesione cerebrale conseguente, per evocare il quale ci hanno fatto trovare in due occasioni una bambola con la testa rotta per esempio. Ma tanti sono i piccoli fatti che come tali appaiono bagatellari e scollegati da un quadro più significativo, scadenti perciò per dare corpo ad una denuncia, comunque inoltrata per il solo dimostrare il desiderio di tutela dei propri interessi.

La delegittimazione avviene anche con la semina di informazioni tossiche in favor di popolo, e quindi di pregiudizio, da parte di chi, per il popolo stesso o anche popolino, ricopre una funzione di credibilità nel ruolo istituzionale assunto, infatti vi è stata già una condanna definitiva contro un operatore di un corpo dello Stato per aver posto dei reati ai miei danni in tal senso, la quale almeno ha avuto il valore di verità contro le millantata sindrome persecutoria.

Lo strumento psicologico agisce nel tempo ed in quella linea del tempo che semina gli eventi come una goccia dopo l’altra, sempre costante, presente anche quando vi sono delle pause perchè il valore minatorio consiste proprio nella percezione da parte del soggetto-oggetto di queste forme di minaccia, il quale dovrà anche essere e restare equilibrato contro le fonti stressogene così alimentate per non impazzire sul serio e per non scambiare la realtà dei fatti con la percezione della realtà apparente o solo percepita.

Il potere di influenza è rinforzato dalla debolezza della sudditanza verso un livello superiore, dalla omertà istituzionale e dalla lunga fila dei ruffiani che eseguono anche degli ordini chiaramente ambigui pur di soddisfare il superiore nella speranza di trarne dei vantaggi, perchè c’è anche questo nel nostro strano Paese oltre alla condanna sociale che nasce dal lungo tempo durante il quale un soggetto è “chiaccherato” con i relativi rinfreschi del fango quando questi sembra acquisire una maggiore credibilità.

La credibilità testimoniale nei casi di Stato è infatti una vera e propria lotteria che non dipende solo dalla qualità delle dichiarazioni ma dalla capacità di gestirne i riscontri e le indagini, nel mio caso ho dovuto attendere delle autorità antimafia ed antiterrorimo per essere ritenuto pienamente credibile, dopo tanti e troppi anni di fango ma, sempre, nella misura del rapporto fiduciario in attesa, eventuale, di una chiamata a testimoniare in una aula giudiziaria nel corso di un dibattimento in cui si forma la prova.

Inoltre quando ci fu assegnata una mera tutela da parte dei carabinieri, da me non richiesta ma stimolata dalle autorità antimafia ed antiterrorismo, subito furono immesse delle informazioni tossiche tanto da trasformare la presenza di una autopattuglia sotto casa e delle pattuglie di controllo nelle prossimità come degli arresti domiciliari e, in ogni caso, l’isolamento, la diffidenza e la delegittimazione raggiunge il suo scopo.

Se consideriamo che tutto questo ha avuto inizio nel 1986, si comprende quanto sia difficile nel nostro Paese giungere ad una comprensione degli eventi stragisti o eversivi senza la capacità di analizzare proprio quella linea del tempo che accompagna chi indaga alla interpretazione probatoria di più fatti che fanno parte di un progetto unico ma, purtroppo, si continua a indagare il singolo fatto reato senza uno sguardo al quadro di insieme più ampio.

Solo negli ultimi anni alcune autorità antimafia hanno saputo allargare lo spettro investigativo ed analizzare più eventi anche non di immediata pertinenza territoriale, riuscendo così a comprendere ciò che già sapevano ma ora in modo tale anche per ruscire a farlo sapere, unitamente a quei testimoni ai quali donare un minimo di verità dopo tanta delegittimazione e sofferenza patita.

Recentemente, giunto al 17esimo guasto alle varie vetture possedute negli anni e ad una nutrita mole di gomme tagliate, ho detto ai carabinieri che sono evidentemente un automobilista sfortunato e che non desidero essere tutelato in alcun modo pur segnalando l’evento ma senza pretendere altro che la presa notizia, questo in forza di quella stanchezza che mi spinge ad accettare di passar per scemo convinto come sono che chi doveva capire ha capito, le autorità antimafia ed antiterrorismo per esempio, lasciando al loro lavoro ogni eventuale seguito ed esito ben oltre le mie personali esigenze di giustizia e di verità.

Il resto sono le solite schermaglie tra me e qualche ex collega indagato o sospettato di aver partecipato a vario titolo a quelle derive riconducibili soprattutto agli anni ’80 della mia carriera militare, ed a ciò che perimetralmente accadeva in quegli ambienti in termini di progetti eversivi e di sostegno a coloro i quali hanno poi posto in essere dei gravi fatti, in cui le indagini più attuali riconoscono quella cosiddetta manina di Stato che non ha nulla a che vedere con il mero complottismo o con le esigenze di un disegno eversivo politicizzato utile alle lotte del consenso.

La verità è nota a chi indaga, mancano solo le prove oltre agli ottimi risultati raggiunti nell’inchiesta e nei processi relativi alla indagine “ndragheta stragista”…

F.