del lasciare in eredità il valore della propria innocenza…

E’ difficile far capire agli interessati le ragioni per le quali a distanza di quasi 40 anni ancora persisto nel pretendere una sentenza di verità che possa porre il timbro finale alla mia ricerca di giustizia per i fatti del 1986. Non ha importanza se sono già stati riconosciuti tali da più operatori di polizia e di giustizia, perchè manca il timbro tecnico che possa dissiparne ogni residuale dubbio ed ogni eventuale strumentalizzazione.

Non è nè una questione di mero orgoglio o di banale testardaggine oppure la scia di un trauma mai elaborato, bensì rappresenta il valore dell’innocenza di un cittadino che ha patito una feroce prigionia ed una ancora più feroce condanna sociale, la quale ha coinvolto anche a distanza di molti anni la propria Famiglia e, questo, non deve essere lasciato nelle opportunità di chi agisce una opera di denigrazione e di delegittimazione “dall’alto” del proprio ruolo, di cui sfrutta l’influenza nei confronti della cosiddetta opinione pubblica. Perchè la mia reale controparte non era un cittadino privato con il quale eventualmente avrei già potuto a suo tempo incontrare una soluzione, bensì erano e sono persone appartenenti o appartenute ai circuiti delle amministrazioni dello Stato, anche ex colleghi di FF.AA. i quali gravitavano negli anni ’80 in quel perimetro compatibile con gli eventi per cui sono stato sentito dalle varie autorità antimafia ed antiterrorismo.

Sostanzialmente i fatti del 1986 sono riconducibili ai rapportini sui fatti che feci al mio livello superiore quando ero ancora rispetto alla cooptazione di militari di carriera o in ferma prolungata, paracadutisti, carabinieri e operatori di polizia, all’interno di una embrionale struttura complementare agli eventi che stavano accadendo in Emilia Romagna in particolar modo, ed all’embrionale sviluppo della operazione falange armata, anche se in quel periodo ignoravo il quadro più ampio poi ricostruito nel corso degli anni e soprattutto avanti le procedenti autorità aa.aa.

Dimostrare la mia innocenza significa non solo evidenziare gli artefatti motivi del mio arresto, richiesto nel 1988 da un magistrato il quale sarà egli stesso poi arrestato e condannato in via definitiva ma, anche, permettere ai miei figli di esfiltrarsi da tutto il fango che mi è stato gettato addosso e che qualcuno strumentalmente ha rinfescato e rinfresca con scopi delegittimanti, specialmente da quando sono stato chiamato a testimoniare per quanto vissuto sia quando ero in uniforme che dopo la fine della mia carriera.

Una eredità che nulla ha in comune con un fine patrimoniale quindi, ma rappresenta il valore di una scelta di vita che ha caratterizzato gli ultimi 40 anni della mia stessa vita e, come detto, inevitabilmente estesa alla mia Famiglia.

Il valore dell’innocenza raggiunge altresì la collettività con l’esempio di lotta contor un gigante, di mantenimento di quel sè stessi salvato dagli eventi e di desiderio di non soccombere sotto i cosiddetti poteri forti che, nel nostro strano Paese, si sono sempre nutriti della debolezza sociale della stessa collettività.

Non è mai stato solo un atto personale quello di indagare privatamente per raccogliere i giusti elementi probatori a discolpa di quanto fui a suo tempo accusato, perchè nella ricerca delle mie ragioni vi erano anche le ragioni di chi, come me, in quell’epoca, si è ritrovato cooptato in un gioco grande, del quale forse non avevamo compreso il significato ma le regole sembravano andare oltre anche i confini del meno ortodosso, scegliendo perciò di non seguire quelle che andavano contro i giuramenti fatti ed i valoro sposati con l’arruolamento in carriera nelle amministrazioni della Difesa e dell’Interno della Repubblica.

Ho sempre saputo che lottare contro un gigante avrebbe significato uscirne con le ossa rotte e così è stato, ma ho salvato quel me stesso utile a formare una Famiglia nonostante tutto ed osservarne l’evoluzione insieme a mia moglie Sara ed ai nostri cinque figli.

Figli ai quali lasciare in eredità il più grande immateriale valore, quello dell’innocenza e della lotta per la propria dignità, cosa diversa dalla reputazione e dall’orgoglio.

Sono cosciente che probabilmente non basterà una vita intera per giungere alla comprensione giudiziaria di quanto è accaduto nel decennio ’85-’95 nel nostro Paese, anni bui e resi opachi da un sistema sottointegrato allo Stato che, dal 1994, si è progressivamente fatto Stato.

Ho scelto di non accettare alcun vantaggio, conducendo una vita umile ed una esistenza ormai in qualche modo off grid, tale però da permettermi di osservare gli occhi dei miei figli con la pulizia morale ed emotiva che ogni padre dovrebbe esprimere, perchè non sono ricattibile e non ho tradito.

Quando anche una sentenza tecnica annullerà i fatti del 1986 potrò dirmi soddisfatto ma non vincente, perchè in realtà è stata più grave la condanna della ricerca dell’innocenza che l’ingiustizia patita…

F.