due parole sulla, tecnologica, esigenza di carne da trincea…

Mai come negli ultimi mesi ascolto parole di allarme, di una nuova esigenza di mobilitazione associata alla richiesta di un adeguamento dei mezzi e degli uomini in armi per degli scenari di guerra reali e sostanzialmente imminenti. Lo stesso capo di Stato Maggiore dell’Esercito invita a rimodulare l’organizzazione di fronte ai nuovi mutati scenari attese le guerre in essere e tra la Russia e l’Ucraina in modo esemplare, senza parlare delle considerazioni del Presidente francese Macron il quale parla di un eventuale invio di truppe nel teatro bellico ucraino.

L’opinione pubblica è così bombardata da una psicologia di guerra oltre a quanto si osserva dai telegiornali in cui le immagini della distruzione e dei tantissimi morti sia in Ucraina che a Gaza impattano alla vista quasi apatizzata di una collettività che non riesce a trovare risposte a breve termine e, per questo, rinvia i quesiti ai quali occorre invece dare conferme pratiche, reali, tangibili.

Assisto ad una scissione tra la vita di tutti i giorni ed un domani in mano agli altri, ai potenti in grado di condizionare la vita di tutti noi nel momento in cui avranno il coraggio di affrontare le nostre paure, anche dicendoci chiaramente che da una guerra per procura passeremo ad un evento bellico trimetrico in cui perderemo le tracce dei triangoli politici, rinforzando così il bisogno di delegare il nostro timore a chi comanda, con il rischio di ritrovarci in una concreta psicologia da trincea con tutte le conseguenza in termini di perdita di diritti e delle libertà fondamentali, anche senza una guerra combattuta.

La guerra è un affare lucroso, lo è sempre stato, non solo per le industrie belliche che hanno le mani in politica ma anche per la politica stessa nelle mire geostrategiche oltre che nelle opportunità di ricostruzione di quei paesi distrutti dai conflitti, specialmente se sono paesi loro stessi strategici in materia di risorse energetiche o di altra natura; diversi dai paesi a perdere in cui le guerre si fanno solo per stabilizzare moti e rivoluzioni locali propedeutiche per abbattere od ereggere poteri centrali o periferici utili alle geostrategie delle grandi potenze, come un grande gioco di scacchi ove la vita di una persona assume il valore strumentale della guerra e, nelle guerre, proprio la vita delle persone assume un valore ernorme nel paradosso della sua perdita.

E’ altresì paradossale osservare che in una epoca di elevata tecnologia bellica non umana, i morti sono invece di carne e di sangue, sono i soldati mietuti a migliaia nelle trincee, nelle battaglie di arresto, negli scontri meccanizzati senza contare i numerosi civili che cadono sotto i colpi dei missili a guida cosiddetta chirurgica che vanno a colpire le città, ed i morti saranno solo collaterali ad un obiettivo o ad una girandola di pezzi del missile abbattuto dalla contraerea.

Di fronte a questi scenari il nostro Paese necessita di diventare Nazione, Patria, fregio identificativo della sua collettività tra la quale i numerosi operatori in armi di ogni genere ordine e grado, coscienti che saranno le prime risorse ad essere impiegate augurandosi di avere delle specializzazioni di elevata qualità per non finire nella fanteria d’arresto di un tempo, se si parla di trincee in egual misura della guerra tecnologica, laddove l’invio di soldati nei fronti esteri si renderà effettivamente necessario e, non, per una camuffata missione di pace bensì per un intervento bellico a tutti gli effetti magari sotto gli effigi delle alleanze o in un esercito europeo assemblato alla meglio per dare valore ad una Europa ancora troppo nazionalistica per rappresentarsi come blocco unico.

Il capo di Stato Maggiore ci dice che non possiamo continuare a far finta di nulla, a fare i soliti italiani brava gente, a credere che tutto dipenda solo dalla scafatezza dei politici nostrani nel trovare l’alleanza migliore per ridurre i danni anche a costo del famoso onore e della dignità che tanto piace ai generali, perchè la nostra politica ha perso il suo valore e contano solo le oggettuali personalizzazioni che la rappresentano ai vertici del governo ed in Europa, assai labili a dire il vero.

Che cosa dobbiamo quindi interpretare, noi collettività, da quanto osserviamo e ci viene detto dai vertici, confusi come siamo da una politica caratterizzata dai falsi positivi e dalle verosimilità falsate all’interno dei giochi del consenso politico privo di una seria proiezione operativa delle capacità cognitive dei nostri vertici in un quadro più ampio del salottino nostrano.

Immaginarmi personalità politiche come un capitansalvin rispetto che un lollobriciola (mi si permetta un tocco di satira) in grado di gestire una psicologia di guerra significa ricostruire lo stesso circo del nulla che ci governa da tempo ormai, intervellato da qualche trapezista apparentemente bravo rispetto ai pagliacci di contorno ma, quando si parla di decisione serie e che riguardano il futuro di intere generazioni siamo carenti purtroppo di quella mentalità bellica che altri paesi invece hanno quando debbono inviare i propri figli a morire per combattere delle guerre lontano da casa, proprio per tenerle sostanzialmente lontano da casa.

Credo però che se un domani lo spettro della guerra anche alle porte dell’Europa prenderà effettivamente forma, molto probabilmente assisteremo al nascere di più legioni di volontari a perdere tra quelli che ci credono e reduci in cerca della bella morte e di una numerosa serie di PMC ovvero compagnie militare private, mercenari per dirla in brutta, pronte ad incassare miliardi per morire al posto nostro anche al prezzo di massacri indiscriminati nei territorio in cui non vogliamo guardare.

I generaloni fanno il loro mestiere e battono a cassa come dei rappresentanti verso un governo costretto a soddisfare l’industria bellica, assai valida quella italiana, chiedono di preparare le truppe non tutte preparate e di prepararci ad essere preparati alla nostra impreparazione così da mettere le mani avanti quando saremo costretti a delegare la nostra pugna.

Nel frattempo ci coloriamo di un pacifismo bandierato e sbandierato nelle trincee di piazza tra studenti e polizia, oppure nelle diatribe delle campagne elettorali tra generali in politica e politici coglionelli (Nadia Cassini docet) senza comprendere che, la Pace, è una cosa molto più seria della guerra.

La guerra la possono far tutti, anche i più incapaci ove persino i delinquenti assassini rischiano di ritrovarsi medagliati, mentre per la pace occorre essere bravi a tal punto da essere dei politici seri, onesti, leali, capaci, formati, corretti, equilibrati, consapevoli, empatici e possibilmente contro la guerra combattuta sul serio rispetto alla giusta organizzazione degli eserciti della deterrenza in armi ma non belligeranti e, più importante, anche degli eserciti di quei civili disarmati la cui deterrenza si rappresenta dalla concreta preparazione nel ruolo della diplomazia, dei progetti di scambi, di economia di pace e non solo di quella industria bellica che ingerisce con i doppi cappelli tra la politica energetica, quella strategica ed anche più recentemente in quella sociale, perchè dopo la paura serve anche la conquista dei cuori e delle menti per il consenso utile ad elaboare i massacri che, ogni guerra, produce…

F.

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